Genitori e figli: le parole da non dire

Aggiornato: 3 Aprile 2023

Genitori e figli: le parole da non dire

Genitori, figli, parole da non dire

Genitori e figli: ci sono parole da dire e ce ne sono quelle da non dire.

In questo post condivido le lezioni che ho imparato in tre diversi frangenti di vita quotidiana sulle parole da non dire ai nostri figli e alle nostre figlie.

Sono insegnamenti che ho trovato utili nel mio ruolo di genitore e che oggi  riporto qui, in questo post, con l’augurio che possano esserti di ispirazione.

L’eloquenza è una pittura del pensiero.

Blaise Pascal

I momenti e ciò che ho imparato

Ti racconto i momenti e concludo con ciò che ho imparato.

Il primo frangente

Contesto: spiaggia soleggiata del sud Italia. Passeggiata solitaria, in riva al mar cristallino, orario merenda pomeridiana.

A un certo punto, sento alle mie spalle una voce femminile, aggressiva assai.

Dice:

Sei un cretino di prima classe!

Giro la testa, sorpreso, incuriosito.

Vedo la voce femminile: una giovane mamma che si rivolge con queste parole al figlio che aveva sui 5 anni, giorno più, giorno meno.

Tra parentesi: la mia junior ha 8 anni, ho l’occhio allenato 🙂

Chiusa la parentesi.

Non ho potuto fare a meno di lanciare alla mamma uno sguardo sorpresomachestaiadi’ e al figlio uno consolatoriononfarcicaso.

Riprendo la mia passeggiata, portandomi allo spirito un senso di stupore e preoccupazione.

Le parole sono potenti e quelle bruciano il candore dell’infanzia. Rimarranno impresse nel cuore e nella testa di quel bambino.

I danni di quelle sprovvedute parole non tarderanno. Si faranno vedere sotto forma di insidiosi condizionamenti nei rapporti di quel bambino con se stesso, con i suoi genitori, con il mondo.

Via diretta e a senso unico verso sottostima e scarsa fiducia in se stessi e negli altri.

Fare il genitore: lezioni utili

Secondo frangente

Contesto: stessa spiaggia soleggiata del sud Italia, stesso mare cristallino. Passeggiata in riva, insieme a mia figlia in un torrido tardo pomeriggio di agosto.

All’improvviso, poche parole e … grezze urtano violentemente le mie orecchie. Sono davvero spigolose.

Sento una voce maschile che dice: Dammela, che sei stupida!

Giro la testa e il contesto mi chiarisce subito chi, che cosa e come dare.

Con queste parole, un “signore” di venerabile età biologica, ma di limitato buonsenso discorsivo si rivolgeva a una giovane mamma, con in braccio un bambino di due anni, giorno più, giorno meno.

L’intenzione, sembrava, fosse di aiutare la mamma – con ogni probabilità sua figlia – portandole la borsa da spiaggia. Obiettivo ultimo della perentoria richiesta: alleggerirla e lasciarla portare in braccio solo il bambino, dalla spiaggia al parcheggio.

Nobile gesto nella sostanza, pessimo nella forma.

Guardo lui stupito, ma lui non ci fa caso.

Guardo lei, con lo stesso stupore e non vedo alcuna reazione. La non reazione sembra la prova di familiarità con il linguaggio privo di dignità … discorsiva.

A casa loro, apparentemente, i padri si rivolgono così alle figlie quando vogliono aiutarle.

Mannaggia lui, il parlar forbito …

Terzo frangente

Infine, il terzo momento.

Contesto: Ford nera Station Wagon su un’autostrada del profondo sud italiano, una domenica mattina, in viaggio verso una spiaggia soleggiata, in riva al mar cristallino.

Protagonisti: mia figlia ed io. Entrambi, sostenitori, ciascuno a modo suo, del parlare meglio e, quando possibile, meno.

Mia figlia con voce suadente e sguardo dolce di quelli che in pochi, padri e non, possono, riescono, osano resistervi.

Dice:

Papà, mi fai giocare sul tuo smartphone?

Io, con la nonchalance di un papà che si sarebbe aspettato una certa domanda, in una certa splendida mattina di agosto, in viaggio verso il mar cristallino:

Certo tesoro, in cambio di due tabelline.

Come dire le tabelline

Sfide discorsive, come affrontarle

Le sfide discorsive con gli juniors, come affrontarle. Come, eh?

Apriti cielo.

Intuivo a cosa stessi per andare incontro: mi ero appena timbrato il biglietto verso un … bella discussione barra dibattito, di quelli che valgono, per me e per lei.

Far ripetere le tabelline del “per” a una bambina di 8 anni, in vacanza, la domenica mattina, in viaggio verso il mar cristallino è l’inizio di uno tsunami discorsivo. Difatti, mi investe una bufera di sguardi gelidi, straseveri e minacciosi.

Dice, con non camuffata ribellione:

Tu non sei il mio papà. Il mio papà non mi risponde così. Tu non mi vuoi bene. Lo dico alla mamma!

Chi è genitore di figlie e figli di otto anni sa di che cosa sto parlando.

Gli juniors riescono, e meno male, a mettere in campo una serie di strategie per guadagnare punti e posizioni discorsive nella discussione con il genitore.

Sanno intuitivamente che c’è almeno una possibilità per vincere, e se la giocano a meraviglia. A volte vincono, altre, no.

Mia figlia, che a pan’ e retorica ci cresce l’aveva ben intuito e non intendeva mollare facilmente.

Grande sfida discorsiva, quindi.

Gli insegnamenti

Dovevo combattere, retoricamente parlando, per guadagnarmi la vittoria e farle fare quello che avevo in mente io per fare quello che aveva in mente lei.

Per il gusto della discussione che fa sempre bene se ponderata e adatta all’età. È un’ottima occasione per affilare il pensiero persuasivo, nel mio caso, e dissuasivo, nel suo.

È, soprattutto, un’ottima occasione per esercitarsi con un compito parecchio impegnativo per la sua età (le tabelline) in un contesto diverso e potenzialmente più benefico per la memoria.

Certo, dall’altezza della tua posizione come genitore hai anche la possibilità di chiudere la questione subito e con tono autoritario: “Fai come ti dico e chiudi la bocca!”

Un po’ come nelle prime due storielle che hai letto all’inizio di questo articolo.

Autorità e autorevolezza

Se vuoi fare abbastanza bene il tuo difficile mestiere di genitore, devi darti da fare anche tu che sei grande.

Quindi, bando ai toni autoritari e largo all’autorevolezza, un cambio notevole di prospettiva sulle relazioni con i propri juniors e più in generale con tutti gli altri.

Del resto, mi ha sempre dato prurito alle orecchie e allo spirito l’autorità, sarà per le mie origini rumene che affondano in un periodo buio-autoritario (il comunismo ante ’89).

L’autorità come strategia di persuasione appartiene ad altri tempi: quando le persone facevano quello che veniva loro richiesto per paura. Punto.

Adesso, non funziona più così.

L’autorevolezza comunque non basta.  Bisogna accompagnarla con una buona dose di empatia, di accettazione e di resilienza discorsiva.

Il genitore, LA Guida

Tutto questo per essere quello che gli juniors si aspettano di trovare nei propri genitori: una guida capace di

Questo è quanto suggerisco di fare ai genitori quando hanno in mente di far fare ai propri juniors quello che in mente hanno loro per lasciarli poi fare quello che in mente hanno loro.

By the way: Chiara, le tabelline le ha dette, con ottimo risultato e poi ha giocato con lo smartphone. Entrambi siamo scesi dall’auto felici e contenti 🙂

Il bel mare cristallino siciliano ci aspettava.

A presto,

Lucian

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