Genitore single in tempi bui

Aggiornato: 26 Maggio 2023

Genitore single in tempi bui

Genitore single in tempi bui

Come la stragrande maggioranza di voi, credo, sono uscito pochissimo nell’ultimo mese.

Perlopiù alle Poste, per inviare qualche libro (‘sto virus ha inaspettatamente incrementato il numero di ordini e forse di lettori, il che rappresenta un bagliore di luce in questo buio quotidiano), al supermercato per rifornirmi di viveri e per recuperare i miei due juniors per trascorrere due settimane con me.

Il lockdown, neologismo che gira su tutte le bocche, pesa socialmente, economicamente, politicamente.

Le conseguenze della nostrana serrata – la traduzione del neologismo che nessuno avrebbe voluto sentire – sono, oggi, difficili da prevedere.

Il malcontento dilaga, l’ansia della prolungata clausura aumenta, la socialità negata rattrista.

Al di fuori del web, la vita segue la sua apparente normalità: la primavera rivendica i suoi pieni diritti, l’ora è cambiata, com’è consueto, l’ultima domenica del mese. Qualcuno dice che potrebbe essere l’ultima volta, staremo a vedere.

La natura è splendidamente sbocciata, per quel che posso vedere dal balcone, dentro e fuori dai parchi.

Insomma, è maledettamente primavera, al meno da calendario.

Notizie che girano dentro e fuori web, invece, parlano di inverno.

Inverno umano: un concentrato di dolore, di rabbia, di frustrazione e di disperazione.

L’anormalità diventata normalità

La nostra vita è stravolta e l’anormalità è diventata la normalità.

Ognuno per sé e tutti insieme stiamo buttando giù il boccone amaro e amareggiante di una realtà capovolta in cui confini personali e professionali sono diventati liquidissimi.

L’anormalità è diventata normalità.

Di anormale trovo il pesante silenzio cittadino.

La città, anzi, le città, in Italia e in tante altre parti del mondo tacciono.

Non vivono e con esse neanche noi, anche se sul web ce la raccontiamo diversamente, a suon di #tuttoandràbene.

Di anormale e di un’indicibile tristezza trovo la città senza bambini, senza i loro spensierati, invadenti e, a volte, insostenibili, schiamazzi, dentro e fuori dai parchi.

Di anormale, e inverosimile, trovo le file ai supermercati, rigorosamente a uno e più metri di distanza l’uno dall’altro.

Inquietante per chi come me passò l’infanzia e la preadolescenza in fila di giorno e spesso di notte per acquistare, scheda nominale a mano, i pochi, rari viveri essenziali che il buio socialista ci permetteva, all’epoca, di ingurgitare. I connazionali della mia generazione sicuramente se lo ricordano.

Di anormale e sconcertante trovo gli scaffali vuoti, dentro i supermercati.

Solo alcuni, è vero, e spero per poco tempo.

È bastato vederli vuoti per rivivere il vuoto della vuota società socialista in cui vissi i primi quindici anni della mia vita. A nord-est di Bucarest, per citare, quasi alla lettera, il titolo di un film.

Di anormale trovo le pareti divisorie, trasparenti, ma che immagine strana, ammettiamolo, al supermercato e alle Poste, i due luoghi sociali che ho frequentato in queste ultime settimane. Il concetto di open plan, mi sa, ne uscirà parecchio provato da questa quarantena.

Di anormale trovo, e sconvolgente, le persone mascherate. I visi coperti di maschere mi fanno un’immensa impressione.

Niente mi ha colpito di più dei visi coperti a metà dei pochi che girano per la città. Mascherine di diversi gradi di protezione e di colori diversi, e di forme diverse, confezionate in casa, acquistate in farmacia o recuperate chi sa dove.

Vederci nascosti dietro una maschera, è davvero l’apice della tristezza. E lo specchio di un mondo capovolto all’improvviso ed irriconoscibile.

Incredibilmente strano ed estraneo.

Metterci il muso fuori dalle mura domestiche, quindi, non è di grande aiuto, oggi.

Visto che fuori è inverno, meglio guardarci dentro per trovare primavera. Per trovare stimoli, fermento e conforto.

Come vivo da genitore single, ai tempi del Covid-19

Insieme, i miei due juniors hanno poco più di 12 anni.

Lei, dieci, compiuti qualche mese fa. Lui due, all’inizio di quest’anno.

Dall’autunno dell’anno scorso vivono, a settimane alterne, con me e con la loro mamma.

Per la durata dell’improvvisa serrata delle scuole, abbiamo scelto, visto le circostanze, di raddoppiare: due settimane con la loro mamma, due con me.

Questa è la mia prima esperienza bisettimanale insieme a entrambi. Siamo, oggi, all’inizio della seconda settimana.

È impegnativo, sì, e non che io mi aspettassi una passeggiata in riva al mare.

Le incombenze domestiche con due juniors di poco più di 12 anni, insieme, sgorgano senza tregua e senza orario.

Mi sento chiamare Papà, che per me rappresenta il secondo più dolce suono – dopo mamma, naturalmente –, centinaia di volte ogni giorno e con variegata punteggiatura: punto o due punti, punto esclamativo o interrogativo.

Marco, lo junior più piccolo, appena mi vede che mi allontano fisicamente o mentalmente dal suo raggio di azione, mi richiama perentoriamente all’ordine. “Papà, qua”, dice, ed io torno; e così sfuma il mio tempo, e anche il mio spazio personale.

Chiara, la junior più grande, più autonoma, anche lei quando non si allontana con un libro o con un film trova soavemente modo di riportarmi ai doveri paterni.

Papà, come si fa?

Papà, come si dice?

Papà, perché?

Papà, ma se ci fosse …” e spazio libero alla fantasia …

Anche se in questo periodo mi occupo principalmente del blog, quindi sono online e flessibile, i miei due astuti juniors trovano modi sottilmente persuasivi per distrarmi, per catturare la mia attenzione, per mettere alla prova la mia concentrazione.

L’alternativa c’è, ma evito di adottarla.

Piazzarli davanti a uno schermo è una soluzione apparentemente valida per ritagliarsi tempo e spazio per i propri impegni.

Tuttavia, alla soluzione a breve termine, trovo più efficace quella a lungo termine: condividere insieme a loro l’unica vera ricchezza che possediamo, il tempo.

La pandemia, un’imperdibile occasione per condividere

Questo inaspettato periodo di clausura tra le mura domestiche è un’imperdibile occasione per trascorrere del tempo con le persone più care e più vicine che ci siano.

E spesso anche quelle che conosciamo meno.

Figli e genitori sono tra queste.

Teniamolo a mente: non sarà il Covid-19, né le notizie allarmanti che continuano a invadere la nostra quotidianità nelle ultime settimane a scolpire l’anima dei nostri juniors. Né il tempo che abbiamo trascorso sui social o dietro uno schermo a farci i fatti propri, da grandi.

Quello che in un periodo così drammaticamente delicato scolpirà l’anima e la mente dei nostri figli – grandi e piccini – è il tempo condiviso, anche se forzato e inaspettato.

Questa sofferente clausura è un’imperdibile occasione per stare insieme, per scoprire ed esplorare in un contesto nuovo e, per molti versi estremo, la relazione genitore-figli.

È un’imperdibile occasione per fare delle cose insieme: parlare e ridere, giocare e inventare, dibattere e argomentare.

È un’improvvisa occasione di riscatto per tutte quelle volte che ci siamo lamentati di voler trascorrere più tempo insieme ai propri juniors.

Desiderio puntualmente disatteso per sopraggiunti impegni ed imprevisti, prima che il Covid-19 stravolgesse vita, abitudini e quotidianità.

Le notizie che circolano in questi giorni anticipano che ne avremmo ancora per un (bel) po’, perciò cari genitori, single o no, fate spazio nelle vostre agende all’imperdibile appuntamento con il tempo condiviso.

Anche con i vostri amati, ribelli e irrequieti juniors.

Foto dall’archivio personale

PS: Questo post è stato aggiornato a maggio 2023. È stato pubblicato per la prima volta il 30 marzo 2020 sul sito RhetoFan.com, online dal 2016 al 2023.

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