La paura prosciuga gli impreparati
A settembre 2007, partii per Parigi per uno stage di quattro mesi negli uffici di uno dei maggiori tour operator francesi: Voyageur du Monde.
Fu una meravigliosa occasione per incontrare splendide persone, lavorare in un posto straordinario ed esplorare usi e costumi di una grande capitale europea.
A quell’epoca ero poco più che trentenne e nella Ville Lumière ero circondato da persone della mia stessa età, più o meno, che facevano ciò che fanno i giovani alla soglia dell’unico “enta” che precede i tanti “anta”: vivono intensamente, sognano, amano, si interrogano, si inquietano e a volte se ne fregano.
Quando fai parte della Generazione X, a trent’anni la vita è ancora popolata da sogni e da tanti audaci “farò” e “cambierò”.
Tutto è ancora possibile, e meno male.
L’aquila che si credeva un pollo
Quando penso al mio soggiorno parigino mi viene in mente la storia dell’aquila che non ebbe il coraggio di osare e rimase convinta che fosse ciò che non era.
Eccola.
Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia.
L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini.
Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia.
Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. “Chi è quello?” chiese.
“È l’aquila, il re degli uccelli” rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.”
E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.
Ci vuole coraggio per spezzare le catene della paura e frantumare vecchie abitudini lasciando spazio al nuovo, all’inesplorato.
Il mio splendido soggiorno parigino
Mi conquistò subito la fame di vita di quella gioventù matura in stridente contrasto con la pacatezza tipica di Trento, la composta città racchiusa tra le maestose Dolomiti italiane da cui venivo.
L’intensa passione delle tante persone che ho incontrato nel mio soggiorno parigino, la loro spensieratezza, la loro dolce leggerezza del vivere giorno per giorno, un giorno alla volta, fu per me una vera scossa.
Quella era la frizzante quotidianità di una delle più affascinanti città del mondo.
Vivevano un qui ed ora che non avevo mai visto e sentito così da vicino.
“Parigi è una droga” mi dissero, “una volta assunta, ne diventi dipendente”. È vero. Ebbi l’occasione di viverlo in prima persona.
Rifiutai però di assumere la giusta dose e poi me ne pentii.
Durante la settimana si lavorava sodo.
Io ci mettevo due ore per andare e tornare dal lavoro, cambiando tram e due metrò. Tipico delle grandi città, che rendeva l’attività di spostamento un’esperienza incredibilmente intensa.

La biblioteca su rotaie
Nelle carrozze tutti leggono, o quasi. È una biblioteca su rotaia, ed io ho fatto anche questo: mi sono letto alcuni libri nella splendida metropolitana parigina.
Che mondo diverso!
Nel 2007, non c’erano le reti sociali come le conosciamo oggi.
Non erano così pervasive della nostra quotidianità e alcune nemmeno esistevano.
Non c’era Audible, né Kindle, non c’era Instagram, né WhatsApp. Non eravamo ancora così dipendenti dalla nostra Rete di tutti i giorni.
Pensa: ci mandavamo ancora gli sms quando volevamo dirci qualcosa. E ci chiamavamo molto più spesso di oggi.
Tutto bene al lavoro durante la settimana.
Nel weekend la musica cambiava: mi sono diviso la maggior parte dei fine settimana nel mio autunno parigino tra feste, whisky, sigarette e tutto il resto a un ritmo frenetico, sfiancante.
Qualche anno prima avevo scoperto Vasco Rossi e adesso cominciai a farmi un’idea tutta mia su ciò che vuol dire Vado al massimo.
I mesi del soggiorno parigino sono rimasti scolpiti nella mia anima e nella mia mente come poche altre esperienze vissute nella vita.
Alcune ombre, tuttavia, si stagliavano su questa intensa esperienza umana e professionale.
Interiormente ero molto tormentato, non capivo bene se per la stanchezza che stavo accumulando o per le numerose domande che mi ponevo.
Mi sentivo spesso un pesce fuori acqua, come se quel traguardo così tanto desiderato e sudato non me lo fossi meritato.

La paura tira il freno
Capii che la paura mi facevo andare col freno tirato. Mi impediva di scrivere serenamente una delle più belle pagine della mia storia personale.
Non riuscivo a vivere qui ed ora, o, per meglio dire, là e allora. Mi chiedevo, invece, ingenuamente, cosa di sbagliato ci fosse con e dentro di me.
I miei tormenti sparivano al secondo bicchiere di whisky, quando cominciavo a vedere tutto in una prospettiva diversa. Tutto, tranne me.
Non facevamo nulla di male, nessuno dell’entourage che frequentavo – multiculturale e multilinguistico – ha mai avuto alcun problema al di fuori del mal di testa mattutino e degli occhi gonfi come le cipolle, segno delle tante notti bianche a dibattere i problemi esistenziali universali: amore, felicità, amicizia, successo, democrazia e i loro contrari solitudine, infelicità, fallimento e totalitarismo.
Ascoltavo musica, dibattevo i grandi problemi della vita in tante lingue diverse, esploravo usi e costumi dei quattro angoli del pianeta ed era bellissimo!
Eppure, non riuscivo a godermi pienamente quel periodo di grande fermento relazionale, linguistico e culturale.
All’appuntamento, impaurito e impreparato
Sotto la sottile superficie della trepidante realtà serpeggiava la paura, irrazionale e ingiustificata.
Con il passare degli anni mi sono reso conto di una verità che mi sconcertò, rammaricò e infine ripacificò con me stesso: mi ero presentato impaurito e impreparato all’appuntamento con un’opportunità unica personale e professionale.
Poteva andare diversamente?
Probabilmente, no. Quella paura era talmente parte di me da essersi fusa con il mio essere, fare e pensare.
La paura è insidiosa, subdola, perfida. È un mostro con tante teste che annebbia la mente e addenta ferocemente i territori più profondi dell’anima, lasciandoti camminare zoppicando sui sentieri della vita.
Sei allo sbando e sfuggirne è davvero un’impresa.
La paura, affamata, prosciuga le tue energie vitali. Confonde e condiziona le altre emozioni. Appanna il pensiero.
Visto con gli orrendi occhiali della paura, il mondo, la vita, le persone appaiono distorte, confuse, sfuggenti. Il futuro diventa drammaticamente distopico.
La paura può tagliarti irrimediabilmente le ali. Lasciandoti a terra come quell’aquila che si credeva, a torto, un pollo.
Quando senti la paura bussare alle porte della tua anima, chiama il coraggio ad aprirle: è l’unico modo per affrontarla e dominarla.
A presto,
Lucian
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PSS: Questo post è stato aggiornato a giugno 2023. È stato pubblicato per la prima volta il 15 settembre sul sito RhetoFan.com, online dal 2016 al 2023.