Come mia figlia ha scoperto la retorica a 4 anni

Aggiornato: 2 Marzo 2023

Mia figlia ha scoperto la retorica a 4 anni

Come mia figlia ha scoperto la retorica

Come mia figlia ha scoperto la retorica a 4 anni: appunti da genitore e un invito alla scoperta della comunicazione efficace, a misura di bambino.

Io penso che, se alla nascita di un bambino una madre potesse chiedere ad una fata di dotarlo del dono più utile, quel dono sarebbe la curiosità.

Eleanor Anna Roosevelt

Quando sei genitore come me, scopri che verso i quattro anni i bambini iniziano ad avere una buona padronanza del linguaggio. Sufficiente, comunque, per esprimersi con chiarezza e determinazione quando vogliono chiedere qualcosa: “Io voglio …” da riempire a piacimento con, ad esempio, gelato, quella bambola, il camion, quel gioco, quel vestito ecc.

Una richiesta perentoria che sollecita ai genitori tatto e pazienza per ribattere a tono.

Vediamo qualche esempio di vita da genitore.

Al parco: “Tesoro mio, è ora di andare via”. Lei, con sguardo rattristato: “Ma io voglio restare”.

Tu, in visita agli amici, con tono affettuoso: “Amore, dobbiamo andare”. E lei, da copione: “No! Voglio stare ancora.”

La sera: “Piccola mia è ora di andare a letto”. E lei: “Ma io voglio giocare”.

Che cosa si fa in questi casi? Certo, tatto e pazienza, e poi? Come convincere gli juniors a tornare svelti svelti alla base, ad andare via senza versare un fiume di lacrime e ad andare a letto a un’ora decente?

La parola chiave è: trattativa. E i suoi parenti stretti: negoziazione, argomentazione, comunicazione.

Mentre continuano a ripetere “Io voglio …” giocare, scivolare, saltare, indifferenti agli impegni imposti dalla vita adulta, inizi il tuo negoziato portando in campo i migliori stratagemmi argomentativi e a casa un ragionevole risultato.

Dopo qualche tira e molla discorsivo, indovina chi vince?

Loro, gli juniors, ovviamente 🙂

Quindi, punto alla controparte e via ai … supplementari.

Al quarto-quinto tentativo, raramente prima, più spesso dopo, riesci finalmente a centrare l’ambizioso obiettivo: tornare alla base, salutare serenamente gli amici, leggere una storia e metterli a dormire.

Che, poi, è un buon risultato, al netto di tutto.

Avvicinarsi all’arte del discorso efficace, a 4 anni

I magnifici quattro anni, mese più, mese meno, con le abilità linguistiche ancora molto elastiche, rappresentano un proficuo periodo per fornire ai nostri juniors i primi assaggi di retorica. Quella vera, che insegna come ottenere l’effetto desiderato con l’arte del discorso efficace.

È il periodo neuro-psico-fisiologico più adatto per aiutarli a muovere i primi passi nel magico mondo delle parole. E iniziare a svelare loro lo straordinario potere che le parole possono avere su chi parla e su chi ascolta.

Per dirla con le parole di Aristotele: stimolarli a “scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto”.

Proprio a quest’età, mia figlia Chiara, la mia junior più grande, e successivamente Marco, il mio junior più piccolo, iniziarono entrambi il loro viaggio alla scoperta della retorica. A dire il vero, lasciai da parte il nome – retorica – che, a quattro anni, ha poca importanza. Mi interessava offrire loro qualche stimolo per aiutarli a familiarizzarsi con i rudimenti dell’argomentazione.

Desideravo incuriosirli e incoraggiarli a ragionare con la delicatezza e la genuinità dei loro splendidi quattro anni sulle scelte fatte, sui pensieri espressi e sulle azioni compiute.

Pertanto, ho capovolto i ruoli, lasciando che fossero loro, i miei juniors, a convincermi. “Ok, tesoro, ho capito, non vuoi andare via. Perché?”

La domanda "perché?", un pilastro per la crescita personale

Come mia figlia ha scoperto la domanda magica “Perché?”, un pilastro per la crescita personale

La domanda magica – Perché? – posta con sincero interesse è un’originale forma di allenamento discorsivo. Il genitore indossa la tuta da allenatore discorsivo e guida i primissimi riscaldamenti dei suoi juniors nella splendida Palestra delle Parole.

La sovvraposizione dei due importantissimi ruoli – di allenatore discorsivo e di genitore – ci permette di guidare i nostri figli e le nostre figlie sulle vie e i vialoni della comunicazione efficace. E insegnare loro, da buone guide amorevoli, come, quando e perché destreggiarsi abilmente tra le innumerevoli sfumature di senso e significato che il linguaggio ci offre.

Non è la risposta che illumina, ma la domanda.

Eugène Ionesco

Perché?, quindi, è la parola magica nella magia dei quattro anni.

È la domanda chiave che guida i nostri juniors in piena primavera della loro vita alla scoperta di ciò che ci rende unici: le parole. Ricordati di usarla spesso con i tuoi figli e con le tue figlie non solo quando hanno quest’età, ma anche più avanti, quando crescono.

Mia figlia ed io ci siamo inventati un gioco che ti consiglio di provare. Lo chiamiamo il gioco del perché. È divertente, per grandi e piccini.

Il gioco del perché, divertente e originale

Il gioco del perché consiste nel continuare a chiedere perché? indipendentemente dalla risposta ricevuta.

Ad esempio:

Andiamo a lavarci i denti.

Perché?

Perché così ci teniamo i denti bianchi e in salute.

Perché?

Perché un sorriso luccicante è segno di salute e vitalità.

Perché?

Perché significa che si ha cura di sé.

Perché?

(Tocca a te continuare …)

Oppure, cambiando i ruoli:

Papà, posso giocare sul tablet?

Perché?

Perché ho trovato un gioco interessante.

Perché?

Perché è divertente giocarci sul tablet.

Perché?

Perché sono stufa di fare i compiti.

Perché?

Perché ne ho fatti abbastanza per oggi.

Perché?

Perché i miei neuroni sono stanchi e hanno bisogno di riposo, cioè di s-v-a-g-o digitale. Hai capito, papà? Posso, vero, papà?

Prova a dire di no 🙂

I bambini e lo spazio vitale dell’interazione verbale

I bambini devono parlare. E noi, genitori del terzo millennio, dobbiamo creare lo spazio e gli stimoli adeguati per poterlo fare.

È in gioco uno spazio essenziale, fisico e simbolico, per il loro sviluppo armonioso: lo spazio vitale dell’interazione verbale. Lo spazio in cui poter esprimere liberamente il loro genuino, sorprendente e divertente punto di vista sulle cose, su di loro, su di noi, sulle proprie azioni e sulle nostre.

È lo spazio discorsivo in cui noi, adulti, spesso stanchi, impazienti ed esageratamente saccenti dovremmo parlare meno e ascoltare di più. Così possiamo, se davvero vogliamo, scoprire l’universo dei nostri figli, comprendere le loro emozioni, alimentare la loro curiosità e allontanare le loro paure.

È solo così, lasciandoli parlare e ascoltandoli con genuino interesse, che  possiamo incoraggiarli a pensare con la propria testa e camminare con le proprie gambe.

La conquista dello spazio discorsivo è il primo passo per avvicinarsi all’arte del parlare con arte. Un grande passo per piccini e piccine per far scoprire loro come, quando e perché le parole sono importanti nelle loro primissime, timide argomentazioni.

Poi cresceranno e le parole che sceglieranno faranno di loro ciò che saranno: adolescenti in grado di sostenere il proprio punto di vista, con solide argomentazioni.

E poi ancora, adulti capaci di adoperare abilmente la cassetta con gli attrezzi della comunicazione efficace:

  • l’ascolto attivo, un’arte in via di estinzione
  • le domande giuste al momento giusto 
  • le strategie di miglioramento personale che funzionano (con e senza figli)

In poche parole, e buone: cittadini consapevoli, responsabili e dotati di spirito critico.

Come argomentare: argomenti giusti e risposte a tono

Come argomentare: argomenti giusti, risposte a tono

Alla domanda “Perché vuoi restare?” la risposta sarà molto probabilmente secca, del tipo: “Perché voglio giocare”, “Perché voglio”, oppure “Perché così”.

Ribatti allora con un “Non sei stata sufficientemente convincente” o “Non mi hai ancora convinto” e vedrai: i tuoi juniors ti stupiranno con risposte a tono: “Voglio restare perché la bambola mia vuole che leggo una storia. Lo sai, papà, che leggere è cibo di anima, non si va a nanna senza mangiare”.

Riecheggiano così le parole di quella volta – attorno ai tre anni – quando ti chiese “Papà, perché leggi?” E tu: “Perché leggere è il cibo dell’anima”.

Dagli amici, poi, ti diranno che vogliono restare perché hanno appena iniziato un gioco e devono finire quello che si inizia. Perché finire ciò che si inizia è importante, “la maestra ce l’ha detto”. Argomento – ammettiamolo – sufficientemente convincente a quattro anni per posticipare il ritorno alla base.

Eccoli, quindi, attorno ai quattro anni, capaci di sorprenderci con le loro argomentazioni.

Incoraggiateli e stimolateli ad esprimersi e vedrete come gli juniors di oggi, le nuove leve del mondo di domani, sapranno come riempire, con maestria, lo spazio discorsivo a loro disposizione.

Bien sûr, ci sarà anche il rovescio della medaglia: qualche anno più tardi, in una soleggiata mattina di primavera, sarà lei o lui ad affermare: “Non sei stato abbastanza convincente” oppure “Prova a convincermi” quando direte: “Su, alziamoci, dobbiamo andare a scuola” 😉

Insegnare a dire, imparare a essere

Va bene così: è un ragionevole rischio che ci assumiamo quando vogliamo insegnare alle  nuove generazioni “l’arte del «dire»” che “significa già imparare a «essere»”, come ci ricorda Olivier Reboul, filosofo dell’educazione e profondo conoscitore della retorica.

Il punto è questo: quel tempo in più richiesto attraverso il perentorio “Io voglio” è uno dei primissimi tentativi di raggiungere la propria felicità.

A quattro anni, teniamolo a mente, è ancora in atto quella profonda unione mente-corpo che fa immergere totalmente i bambini in qualsiasi attività. Sconnettersi, per loro, al contrario di quanto possiamo pensare in età adulta, non è per niente facile.

Far scoprire ai nostri bambini il meraviglioso universo delle parole già dai primi anni di vita è un modo per stimolarli a crescere sereni e consapevoli delle inestimabili risorse che il linguaggio mette loro a disposizione.

Genitori in tuta, da allenatore discorsivo

A mano a mano che le connessioni neurali iniziano a consolidarsi e il linguaggio a strutturarsi, i nostri juniors compiono i loro primi impacciati tentativi di raggiungere la felicità.

Fu l’idea di Aristotele espressa a chiare lettere nella sua Retorica: “Intorno alla felicità e alle azioni che a essa conducono e a quella a essa contrarie che ruotano tutti i tentativi di persuadere e dissuadere”.

Aggiunse: “si devono fare le cose che procurano la felicità o une delle sue parti, o che l’accrescono invece di diminuirla, mentre non si devono fare quelle che la corrompono o ostacolano o producono il contrario.”

Indossiamo, allora, la tuta da allenatore discorsivo e portiamo, tutti i giorni, i nostri figli e le nostre figlie nella Palestra delle Parole. Aiutiamoli a scoprire la retorica, quella genuina, che ci insegna l’arte del discorso, l’argomentazione efficace e come raggiungere la felicità.

Quella retorica che ci insegna ad essere cittadini consapevoli e virtuosi.

Da grandi, stai pur certo, i nostri juniors se lo ricorderanno.

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A presto,

Lucian Berescu

Foto dall’archivio personale

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