Parole ed emozioni: come diciamo ciò che diciamo

Aggiornato: 9 Aprile 2023

Parole ed emozioni: come diciamo ciò che diciamo

Parole ed emozioni

Il linguaggio ci offre una serie di innumerevoli possibilità e di variazioni per dire ciò che vogliamo dire.
Adelino Cattani

Questo post è dedicato al livello paraverbale. Ne seguirà un altro sul linguaggio del corpo o il non verbale.

Il paraverbale

Il livello paraverbale definisce come diciamo ciò che diciamo. È il Pathos, il primo dei tre magnifici strumenti retorici: tono, velocità, timbro e volume della voce.

Si tratta della punteggiatura dell’interazione che segna la musica del discorso: cadenza, ritmo, intensità.

Sono 7, gli elementi della puteggiatura dell’interazione, ricchi di significati socioculturali e comportamentali impliciti ed espliciti.

Tecnicamente si chiamano tratti prosodici.

I tratti prosodici

Scopriamo di seguito i 7 tratti prosodici presenti nella interazioni interpersonali.

Pronuncia

È l’abito della voce e come tale ha solo un’occasione per fare una buona prima impressione.

Se la pronuncia è chiara tendiamo a considerare che anche il pensiero di chi parla lo è.

Una pronuncia poco curata con parole troncate e frasi lasciate in sospeso può sviare l’attenzione dell’interlocutore dal significato delle parole e dal contenuto complessivo del messaggio.

Tono

Per quanto riguarda il tono, vale questo principio: quanto più sei calmo, tanto più sonora e grave sarà la tua voce.

Per converso, quanto più sei agitato, tanto più risulterà acuta e stridula.

Il tono della voce è un indicatore del livello di autorevolezza del parlante: tendiamo ad attribuire maggiore autorità a chi si esprime con voce calma.

Volume

Negli scambi comunicativi, la voce si smorza quando iniziamo a parlare di cose personali.

Quanto più si tende a entrare nell’intimo, tanto più si abbassa la voce. All’opposto, più il locutore ci tiene alla sua causa, tanto più alzerà la voce, spesso inconsapevolmente.

In genere:

  • gli estroversi tendono a parlare a voce più alta degli introversi
  • un eloquio moderato e controllato testimonia distinzione nel dire e fare
  • ci sono convenzioni comportamentali che cambiano da luogo a luogo (nel bar si parla a voce più alta che in un ristorante elegante; per strada, più forte che in chiesa)
  • il contesto culturale influisce sul volume della voce (i giapponesi privilegiano i toni bassi, i mediterranei sono noti per i loro toni vivaci)

Ritmo

Un eloquio rapido è sinonimo di agitazione, incostanza o eccessiva loquacità mentre un ritmo lento, di scarso impegno o eccessiva flemma, ambedue estremi che mettono in discussione la capacità di autocontrollo del parlante.

Un ritmo spezzato suggerisce invece una scarsa dimestichezza degli argomenti affrontati.

Se ci pensi, rallentiamo per dare più enfasi al discorso e acceleriamo per aumentarne l’intensità.

Un suggerimento: evita di impostare al discorso un ritmo uniforme.

Accentuazione

Si rischia la noia uditiva a causa della scarsa accentuazione delle parole nel proprio discorso.

Per contro, una corretta accentuazione può guidare e orientare meglio l’interlocutore tra gli argomenti del discorso.

Intonazione

È la melodia della frase e serve a modulare il messaggio.

Se, per esempio, alziamo il tono della voce al termine di una frase, capiamo subito che si tratta di una domanda; se, invece, l’abbassiamo, l’interlocutore percepisce un’affermazione.

Pause

Come l’accentuazione e l’intonazione, le pause servono per variare e rendere più attraente il flusso delle parole nelle interazioni. Teniamo a mente che una pausa normale non dovrebbe superare più di 3-5 secondi.

Passpartout discorsivi

Oltre ai tratti prosodici elencati sopra, c’è un ulteriore elemento a cui prestare attenzione.

Mi riferisco ai passpartout discorsivi come ad esempio “sai”, “beh”, “dai”, “insomma”, “mica”, “casomai”, “magari” ecc. Questi sono elementi che inquinano il discorso e le interazioni, se se ne fa un uso sostenuto.

Vanno pertanto usati con mooolta parsimonia.

Conoscere, in primo luogo, e saper valorizzare le proprie risorse paraverbali, in secondo luogo, è parte della tua preziosa cassetta degli attrezzi della comunicazione efficace.

Quindi, non solo parole per ascoltare e farsi ascoltare, ma anche una vasta rosa di risorse per muoverti abilmente tra i tre livelli di espressione delle interazioni interpersonali.

Difficile? Beh, sì, è difficile.

Accrescere la consapevolezza di come diciamo ciò che diciamo è un continuo lavoro di autoconoscenza e autodisciplina discorsiva ed emotiva.

Saper riposizionarsi, discorsivamente parlando, davanti a una platea, in un dibattito o nelle interazioni quotidiane, davanti a sé stessi, a un amico, a un parente o a una personalità pubblica è un’abilità comunicativa chiave che va appresa e applicata.

Non è semplice. Non è facile.

Ci proviamo da millenni, da quando l’Umanità scoprì la retorica, quel campo del sapere indispensabile per la crescita e il miglioramento personale nella vita privata come in quella pubblica.

I pochi che decidono di studiarla lo confermano e lo dimostrano.

Saper scegliere le parole giuste, dal tono adatto al contesto signifca essere un parlante consapevole di ciò che dice e di come lo dice. Certo, richiede tempo e pratica, impegno e costanza, risorse personali che, la vita di tutti i giorni ce lo dimostra, non tutti sono capaci di valorizzare.

Ma chi sa scegliere bene le parole, anche da non dire, sa parlare bene.

E chi parla bene, vive meglio.

Foto di Ray Wewerka

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