Nella testa degli italiani: un viaggio che vale

Scritto da Lucian Berescu

12/02/2023

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Nella testa degli italiani: un viaggio che vale.

Più di cinquanta di anni fa l’antropologo statunitense Edward T. Hall raccolse in un libro che intitolò La dimensione nascosta le sue riflessioni sul significato che diamo allo spazio percepito.

Hall a studiato per moltissimi anni la cultura dello spazio interpersonale e coniò un termine che ebbe molta fortuna e lo rese famoso: prossemica.

La prossemica, stando alla definizione riportata da Wikipedia è la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale.

In altre parole, lo spazio in cui ci muoviamo e in cui ci relazioniamo ha una marcata componente simbolica e rappresenta un potente strumento di comunicazione:

  • affettivo perché media il rapporto con le persone
  • psicologico perché rappresenta un diritto inalienabile all’intimità nella vita personale
  • estetico perché parliamo di noi attraverso gli arredi del nostro spazio personale, lo stile d’abbigliamento che adottiamo, i colori e gli accessori che indossiamo
  • gerarchico perché esprime la posizione sociale o il titolo che ricopriamo
  • olfattivo perché iniziamo a sognare e fantasticare quando siamo avvolti da una fragranza tagliarespiro

Della gestione dello spazio percepito fisico e simbolico può dipendere il risultato di uno scambio discorsivo.

Funziona così: tutti noi apprendiamo fin da piccoli le regole culturali della gestione dello spazio personale, ciò che ci è permesso e ciò che non lo è in funzione della distanza rispetto all’interlocutore.

Poi, crescendo, su queste regole imbastiamo la nostra vita proteggendo e rispettando, espandendo o riducendo i confini spaziali fisici e simbolici, nostri e degli altri.

Questi confini mutano in continuazione, cambiano e si trasformano a seconda delle relazioni che instauriamo nella nostra quotidianità sociale, della loro intensità e della loro durata.

La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi.

Marcel Proust

I messaggi in relazione allo spazio che inviamo e che percepiamo hanno un significato diverso a seconda della cultura in cui vengono trasmessi.

Per dire, un viaggio da nord a sud come quello che feci io alcuni anni fa, in treno, da Trento a Canicattì, ti fa capire che il rapporto con lo spazio fisico e simbolico è diverso al nord, al centro e nel sud del Bel Paese, tra uomini e donne, tra uomini e donne di diverse età.

Della questione se ne occupa seriamente Beppe Severgnini nel suo divertente libro dal titolo suggestivo La testa degli italiani.

Aperto il libro, inizia il viaggio: un gironzolare di una decina di giorni per vie, viuzze e vialetti che passano, appunto, per la testa degli italiani per arrivare in trenta luoghi diversi dello Stivale.

D’accordo, un po’ più lungo del mio viaggio che all’epoca era durato (solo) ventisette ore, ritardi compresi.

Ma diamo la parola a Beppe che conosce molto bene Italia e i suo abitanti.

Dice, a scanso di equivoci:

La vostra Italy non è la nostra Italia. Italy è una droga leggera, spacciata in forme prevedibili: colline al tramonto, olivi e limoni, vino bianco e ragazzi dai capelli neri. L’Italia, invece, è un labirinto. Affascinante, ma complicato. Si rischia di entrare e girare a vuoto per anni. Divertendosi un mondo, sia chiaro.

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Poi, però, scopre le carte e rivela ciò che realmente lo tormenta:

Molti stranieri, nel tentativo di trovare l’uscita, ricorrono ai giudizi dei viaggiatori del passato – da Goethe a Stendhal, da Byron a Twain – che su di noi avevano sempre un’opinione, e non vedevano l’ora di correre a casa a scriverla. Questi autori vengono citati ancora oggi, come se non fosse cambiato niente. Non è vero: in Italia qualcosa è cambiato. Il problema è capire che cosa.

Ognuno può capire ciò che più si addice alla propria sensibilità.

Ma lasciamolo finire.

Vai Beppe:

L’Italia però non è un inferno: troppo gentile. Non è neppure un paradiso: troppo indisciplinata. Diciamo che è un purgatorio insolito, pieno di orgogliose anime in pena, ognuna delle quali pensa d’avere un rapporto privilegiato col padrone di casa. Un posto capace di mandarci in bestia e in estasi nel raggio di cento metri e nel giro di dieci minuti. Un laboratorio unico al mondo, capace di produrre Botticelli e Berlusconi. Un luogo dal quale diciamo di voler scappare, se ci viviamo; ma dove tutti vogliamo tornare, quando siamo scappati. Un paese così, come potete capire, non è facile da spiegare. Soprattutto se arrivate con un extra-bagaglio di fantasie, e alla dogana lo lasciano passare.

Non solo Botticelli e Berlusconi che pure sono importanti, ciascuno a modo suo.

Ma questo insolito purgatorio ha dato i lumi anche alla retorica, ma la cosa si perde nella notte dei tempi. Aristotele stesso ritenne che fosse Empedocle di Agrigento a inventare la retorica sotto il sole siculo del V secolo a.C.

Questo oratore e poeta caduto, non si sa di preciso come, in disgrazia presso i suoi concittadini, lasciò poi il suo nome in eredità a una cittadina costiera del profondo sud italiano, non lontano da Agrigento. Molti, però, ricordano (Porto) Empedocle – questo è il nome della cittadina – più per la Scala dei Turchi, meraviglioso tesoro geofisico siciliano, che per il padre della retorica.

Gli storici non si sono messi d’accordo per bene sulla questione, perciò non andiamo a scomodarli oltre.

Torniamo a noi, invece.

Io sono d’accordo con Beppe.

Primo, perché lui in Italia è nato e ci vive da una vita, perciò sull’argomento ha parecchia esperienza, più ricca della mia.

Secondo, perché è vero, posso confermare le sue parole: quando io passai per la prima volta la dogana italiana – era settembre del 2001 – i funzionari fecero finta di non vedere e mi lasciarono passare.

Avevo dietro un bagaglio di fantasie XXXL. Poi l’ho dovuto ridimensionare, ma questa è un’altra storia.

Un abbraccio,

Lucian

Nella foto: la Scala dei Turchi a Realmonte (AG) – dall’archivio personale

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