Seneca: la sua idea di felicità
Correva l’anno 58 d.C. quando Lucio Seneca decise di raccogliere le sue riflessioni su un tema di grande interesse per i filosofi della sua epoca come per ciascuno di noi, fin dalla notte dei tempi.
Mi riferisco alla felicità.
All’epoca Seneca aveva 54 anni e sull’argomento scrisse De Vita Beata – L’arte di essere felici, rivolgendosi al fratello Gallione in uno dei 10 dialoghi che compongono l’opera del filosofo romano.
La cosa veramente importante è godersi la vita ed essere felici.
Audrey Hepburn
Che cos’è la felicità
Che cos’è la felicità e come si arriva ad essere felici?
Se lo domandava Seneca allora, se lo domandano i filosofi, da quelli dell’antichità a quelli post moderni.
E ce lo domandiamo noi, oggi.
Di seguito, un estratto di grande IspirAzione e che spero possa essere altrettanto anche per te.
Ho sottolineato in grassetto i passaggi salienti.
Gallione, fratello caro, tutti noi cerchiamo la felicità, ma non conosciamo la strada per raggiungerla.
È infatti difficile raggiungerla: più ci affanniamo a cercarla, più ce ne allontaniamo, se prendiamo una strada sbagliata; e se questa strada porta, poi, in una direzione contraria, il tempo che impegniamo per raggiungere la meta si allunga ulteriormente.
Perciò dobbiamo avere innanzitutto ben chiaro quel che vogliamo, dopodiché cercheremo il modo per ottenerlo, e durante questo viaggio, ammesso che il percorso sia quello giusto, faremo bene a misurare ogni giorno il percorso che abbiamo fatto e quello che ancora ci rimane da fare.
È certo che, sino a quando vagheremo a caso, senza seguire una guida ma ascoltando informazioni che si contraddicono le une con le altre e che ci conducono in direzioni diverse, la nostra vita, già breve di per sé, si dissiperà in questo vagare errabondo, anche se ce la metteremo tutta giorno e notte, animati dalle migliori intenzioni.
Decidiamo dunque con certezza la meta e scrutiamo attentamente il modo per poterla raggiungere, con l’aiuto di un esperto che abbia già intrapreso ed esplorato quella via, perché questa strada non ha nulla a che vedere con le altre strade, in cui sentieri ben battuti e le informazioni forniteci dagli abitanti dei luoghi che attraversiamo c’impediscono di sbagliare: perché sono le strade più frequentate a trarci in errore.
Non c’è dunque nulla di peggio che seguire, come fanno le pecore, il gregge di chi ci sta davanti, perché questo ci condurrà non dove volevamo andare, ma dove vanno tutti. Questa è la prima cosa da non fare.
Niente c’invischia di più in mali peggiori che l’adeguarci alle usanze del volgo, ritenendo giusto ciò che la maggioranza considera giusto, imitando quello che fanno gli altri, e vivendo non secondo il nostro pensiero, ma secondo quello più diffuso.
Da questo deriva lo smarrimento di moltissime persone che cadono le une sulle altre. Come una folla in cui tutti spingono e poi cadono e fanno cadere gli altri perché nessuno precipita senza tirarsi dietro al meno un altro e i primi nuocciono a quelli che li seguono, allo stesso modo avviene per tutti gli aspetti della vita: nessuno sbaglia solo per sé stesso, ma ogni uno di noi è responsabile anche degli errori degli altri.
È un azzardo appoggiarci a chi ci cammina dinanzi, ma noi, come ci fa comodo affidarci al pensiero altrui piuttosto che giudicare con la nostra testa, così anche per ciò che concerne la vita ci asteniamo dall’esporre le nostre idee, sicché l’errore, passando di mano in mano, ci insegue, ci travolge e ci fa precipitare.
Sono le esperienze degli altri che ci rovinano. Solo se sapremo distinguerci dalla moltitudine ci salveremo. Il volgo, invece, con ben poca saggezza, s’irrigidisce in una ostinata difesa dei propri errori, per cui accade come nei comizi, nei quali, appena il favore popolare, precario com’è, cambia, quelle stesse persone che li hanno sostenuti si stupiscono che siano stati eletti proprio «quei» pretori: allo stesso modo, noi, con leggerezza, approviamo o rigettiamo le medesime cose; così il nostro modo di pensare e fare quando ci adeguiamo a quello che pensano gli altri.
Per quanto concerne la felicità però non possiamo usare lo stesso metro delle votazioni accorpandoci alla massa perché questa, proprio perché è la maggioranza, è peggiore.
Le nostre esperienze con le vicende umane non sono infatti così positive da indurre a ritenere che il meglio stia dalla parte dei più, perché la folla testimonia esattamente il contrario, ossia che quello che le appartiene è il peggio.
Impegniamoci perciò a scoprire e condividere non i comportamenti più alla moda, bensì i migliori, non quelli che il volgo approva, ma quelli che ci possano portare a conquistare una felicità durevole.
Felicità: una definizione
Che cos’è la felicità, dunque?
Una possibile definizione potrebbe essere: la felicità è la realizzazione delle proprie aspirazioni. E potremmo aggiungere: le proprie aspirazioni di essere qualcuno, di fare o avere qualcosa.
Che cos’è la felicità? è un interrogativo che ci poniamo o che dovremmo porci e a cui ciascuno di noi ha la propria risposta.
Di certo la nostra felicità ha a che vedere con le nostre aspirazioni di essere, di fare, di avere.
Un abbraccio,
Lucian