Il corso dell’amore

Aggiornato: 26 Giugno 2023

Il corso dell'amore

Il corso dell’amore

Uno dei più bei libri letti nell’anno che sta per concludersi è Il corso dell’amore.

Esplora alcuni temi a cui sono particolarmente affezionato a cui ho dedicato numerosi post che puoi leggere nella sezione Articoli del sito: comunicazione efficace, genitorialità, crescita e trasformazione, relazioni e molti altri.

Leggo per legittima difesa.

Woody Allen

L’autore del libro è uno dei miei scrittori preferiti: Alain de Botton, tra i più influenti filosofi contemporanei e fondatore della The School of Life.

Alain de Botton è una vecchia conoscenza per i miei lettori: quando vuoi, lo puoi vedere e sentire nel primo dei dieci video proposti nell’articolo I 12 migliori Ted Talks per la tua crescita personale.

Rafinato e incisivo voyeur dell’animo, de Botton è autore di diversi saggi e romanzi bestseller tra cui: Le consolazioni della filosofiaEsercizi d’amoreUna settimana all’aeroporto.

I libri: portoni aperti verso il mondo interiore

Negli ultimi anni mi sono abituato a leggere mediamente 52 libri all’anno, uno a settimana. Senza contare i libri che audioleggo e di cui ti ho parlato in più articoli, tra cui Pirandello: la più bella costruzione del mondo e Genitori smarriti e figli smart.

Leggo abitualmente in quattro lingue: inglese, francese, rumeno e italiano ed è ormai abitudine consolidata prediligere la lingua originale. Il corso dell’amore, tuttavia, – titolo originale The Course of Love – l’ho letto in italiano.

Ci sono due motivi per leggere un libro: uno, che puoi godertelo, l’altro, che puoi vantarti di averlo letto.

Bertrand Russell

I libri, l’ho detto in più occasioni, rappresentano finestre aperte non solo verso l’universo di chi li ha scritti ma soprattutto portoni aperti verso il proprio universo.

I libri sono a tutti gli effetti mentori della nostra vita, guide invisibili che ci plasmano.

Comprendere questa semplice verità rappresenta una preziosa conquista per il tuo viaggio di crescita e trasformazione personale e professionale.

Il corso dell'amore: provocatorio e commovente

Il corso dell’amore: provocatorio e commovente

Il filosofo anglo-svizzero Alain de Botton è da sempre uno dei miei sagisti preferiti. La sua scrittura limpide penetra le profondità dell’animo umano e arriva dritta al cuore e alla mente del lettore.

Il corso dell’amore è un romanzo saggio, provocatorio e commovente che vorresti non finisse più. Uno di quei rari libri che sembrano parlare di te, direttamente a te.

L’ho acquistato nella primavera di quest’anno e l’ho letto nel cuore dell’autunno. Ogni buon libro ha il suo tempo: di acquisto e di lettura.

De Botton segue la parabola di vita di Rabih e Kirsten, dai brividi di emozione del primo incontro fino alla drammatica crisi di identità umana e genitoriale, passando per le tensioni lavorative, l’inevitabile pressione domestica, le tentazioni adulterine.

L’autore viaggia soprattutto nella testa di lui, ma spesso si sposta – e le incursioni sono illuminanti – nella testa di lei per esplorare e comprendere l’evoluzione di due identità separate che a un certo momento della loro vita decidono di fondere i propri sentimenti per dar luce a qualcosa di più grande di loro stessi: una famiglia.

Il libro riesce a tradurre l’amore in tutte le lingue del tempo. Una lettura soave e imprescindibile per tutti coloro che vogliono sondare le profondità delle proprie relazioni.

Gemme di rara saggezza

Dal romanzo saggio Il corso dell’amore ti propongo in questo post alcuni passaggi che mi sono maggiormente rimasti impressi nella mente e nel cuore.

Sono gemme di rara saggezza che ti invito ad assaporare lentamente e pienamente.

Amare vuol dire ammirare nell’altro le qualità che promettono di correggere le nostre debolezze e i nostri squilibri; l’amore è una ricerca di completezza.

 

Agli inizi di un amore si prova, in una certa misura, il puro sollievo di poter finalmente rivelare ciò che bisognava tenere nascosto in nome delle apparenze. Possiamo ammettere di non essere tanto rispettabili né tanto sobri, non tanto equilibrati né tanto “normali”, come ci crede la società. Possiamo permetterci di essere infantili, fantasiosi, disinibiti, speranzosi, cinici, fragili e multipli. La persona che amiamo lo sa capire e accettare.

 

A fare di una persona un buon comunicatore è, in sostanza, la capacità di non lasciarsi turbare dagli aspetti più problematici e anticonvenzionali del proprio carattere. Il buon comunicatore è in grado di osservare la propria rabbia, la propria sessualità e le proprie opinioni, per quanto malviste, imbarazzanti o fuori moda, senza perdere la fiducia in sé stesso né precipitare nel disgusto di sé. Sa parlare con chiarezza perché è riuscito a sviluppare l’inestimabile convinzione di essere una persona accettabile. Si piace abbastanza da ritenersi degno della benevolenza altrui, da pensare di poterla ottenere, se solo l’interlocutore avrà la capacità di adottare il giusto grado di pazienza e immaginazione.

 

Da bambino il buon comunicatore deve aver avuto la fortuna di essere cresciuto da genitori che sapevano amare i propri figli senza pretendere che fossero in tutto e per tutto adeguati o perfetti. Genitori così sanno accettare l’idea che la loro prole possa – almeno a tratti – essere strana, violenta, arrabbiata, cattiva, insolita o triste, e meritare comunque un posto nella cerchia dell’amore famigliare. In questo modo creano una preziosa fonte di coraggio a cui i figli, da adulti, attingono per affrontare le confessioni e le conversazioni esplicite.

 

I bambini ci insegnano che l’amore, nella sua forma più pura, è una sorta di servizio. Si tratta di una parola che ha assunto connotazioni negative. Nella nostra cultura individualista, basata sull’appagamento personale, difficilmente essere a completa disposizione di qualcuno si può equiparare alla soddisfazione.

Gemme di rara saggezza

Siamo abituati ad amare gli altri in cambio di quello che possono fare per noi, per la loro capacità di intrattenerci, divertirci e placarci. Ma i neonati non sanno fare niente. Come spesso concludono i bimbi più grandi, con enorme sconcerto, non “servono” a niente; ma è proprio a questo che servono. Ci insegnano a donare senza aspettarci nulla in cambio, semplicemente perché dipendono dall’aiuto degli altri e noi siamo in grado di offrirglielo.

 

Siamo indotti a un amore basato non sull’ammirazione per la forza ma sulla compassione per la debolezza, per una vulnerabilità comune a tutti i membri della specie, che anche noi abbiamo avuto e torneremo ad avere. Siccome si tende sempre a dare fin troppa importanza all’autonomia e all’indipendenza, queste creature indifese ci ricordano che, sotto sotto, nessuno si è fatto da solo; siamo tutti profondamente debitori a qualcuno. Dobbiamo renderci conto che la vita dipende – letteralmente dalla capacità di amare.

 

Impariamo anche che essere al servizio di qualcuno non è umiliante, anzi, perché ci libera dalla logorante responsabilità di provvedere sempre al nostro essere contorto e insaziabile. Impariamo il sollievo e il privilegio di vivere per qualcosa di più importante di noi.

 

Il bambino insegna all’adulto anche un’altra cosa sull’amore: che l’amore autentico dovrebbe comportare il tentativo continuo di interpretare con la massima generosità possibile quello che sta accadendo sotto la superficie di un comportamento difficile e spiacevole.

 

Il genitore deve indovinare che cosa c’è all’origine del pianto, del calcio, del dolore o della rabbia. E a caratterizzare questo progetto di interpretazione – a renderlo tanto diverso da quello che succede in una tipica relazione tra adulti – è la benevolenza. I genitori partono dal presupposto che i loro figli, per quanto agitati, per quanto doloranti, siano fondamentale buoni.

 

Appena il pungolo che li tormenta sarà identificato, torneranno all’innocenza originaria. Se un bambino piange, non lo accusiamo di essere cattivo o di commiserarsi; piuttosto, ci chiediamo che cosa l’abbia fatto piangere. Se cerca di mordere, sappiamo che sarà impaurito o momentaneamente contrariato. Siamo pronti a comprendere gli effetti insidiosi che la fame, un apparato digerente sottosopra o la mancanza di sonno possono avere sull’umore.

 

Quanto sapremmo essere gentili se riuscissimo a importare anche solo un pochino di questo istinto nelle relazioni tra adulti, se anche in quelle potessimo guardare oltre i malumori e la malignità per riconoscere la paura, la confusione e la stanchezza che quasi sempre li provocano. Vorrebbe dire guardare la specie umana con amore.

 

Non c’è da stupirsi se, da adulti, quando cominciamo a intrecciare delle relazioni, andiamo alla ricerca di qualcuno che sia in grado di darci l’amore totalizzante e disinteressato che abbiamo conosciuto da bambini. Né ci sarebbe da stupirsi se provassimo frustrazione e grande amarezza per l’apparente difficoltà di trovarlo: perché le persone di rado capiscono di cosa abbiamo bisogno o ci tengono ad aiutarci davvero.

 

Ci arrabbiamo e diamo la colpa agli altri per la loro incapacità di intuire le nostre necessità, magari passiamo da una storia d’amore all’altra, accusiamo un intero sesso di superficialità, fino al giorno in cui la nostra donchisciottesca ricerca ha fine e raggiungiamo una parvenza di maturo distacco, capendo che l’unico modo per liberarci dalla brama potrebbe essere smettere di aspirare a un amore perfetto e di sottolineare tutte le occasioni in cui non lo è; cominciando, invece, a dare amore con un abbandono incurante, senza gelosie, senza calcoli sulle possibilità di essere ricambiati.

 

Non sono solo i bambini a essere infantili. Anche gli adulti – sotto la spacconeria di facciata – a tratti sono giocosi, sciocchi, imprevedibili, vulnerabili, isterici, terrorizzati, patetici e bisognosi di consolazione e perdono.

 

Siamo ben disposti a vedere la dolcezza e la fragilità dei bambini e a offrire loro aiuto e conforto, a seconda dei casi. Con loro riusciamo a mettere da parte le nostre pulsioni peggiori, vendicatività e ira; a ricalibrare le nostre aspettative e pretendere un po’ meno del solito; a non arrabbiarci così in fretta e a essere consapevoli del loro potenziale inespresso. Trattiamo i bambini con una gentilezza che siamo stranamente e tristemente riluttanti a dimostrare ai nostri coetanei.

 

È meraviglioso vivere in un mondo dove tante persone sono carine con i bambini. Ma sarebbe ancora meglio vivere in un mondo in cui tutti siano un po’ più carini con il lato infantile degli altri.

 

Le difficoltà dei genitori moderni sono da attribuire, tra l’altro, al modo in cui è distribuito il prestigio. Le coppie non solo si trovano ad affrontare il costante assedio delle necessità pratiche, ma sono anche inclini a giudicare tali necessità umilianti, banali e insignificanti; è difficile quindi che si sia disposti a compatire o lodare l’altro, o se stessi, solo per avervi fatto fronte. La parola “prestigio” suona del tutto inappropriata in relazione all’atto di portare i figli a scuola o di sbrigare il bucato perché, purtroppo per noi, siamo stati abituati a pensare che appartenga per sua natura ad altri ambienti: la politica o la ricerca scientifica, il cinema o la moda. Invece, nella sua essenza, si riferisce a qualunque aspetto nobile e importante della vita.

 

Siamo poco propensi ad ammettere che nella nostra specie la gloria non derivi solo dal lancio di satelliti, dalla fondazione di aziende e dalla produzione di semiconduttori incredibilmente sottili, ma anche della capacità – pur distribuita tra miliardi di persone – di infilare cucchiaini di yogurt in minuscole bocche, di trovare calzini dispersi, di pulire i bagni, di sopportare caprici e scrostare la tavola da grumi non meglio identificati. Anche queste sono prove degne non di una condanna o di una sarcastica ridicolizzazione, bensì di una patina di fascino, che aiuterebbe a sopportarle con maggiore buona volontà e forza d’animo.

 

La vita quotidiana premia un atteggiamento pratico, non introspettivo. Il tempo è troppo poco e la paura troppo grande. Ci lasciamo guidare dall’istinto di conservazione; andiamo sempre avanti, reagiamo quando veniamo attaccati, scarichiamo le colpe sugli altri, mettiamo a tacere le domande inopportune e conserviamo gelosamente un’immagine lusinghiera della nostra meta finale. Siamo immancabilmente schierati dalla parte di noi stessi perché non abbiamo alternativa.

 

Solo nei rari momenti in cui ci sono le stelle e non ci verrà richiesto nient’altro fino all’alba, possiamo allentare la presa sul nostro ego e adottare una prospettiva più onesta e meno campanilistica.

 

Parliamo di “amore” come se fosse una cosa unica e indifferenziata, mentre comprende due modalità molto diverse tra loro: essere amati e amare. Dovremmo sposarci quando siamo pronti a fare la seconda cosa e siamo coscienti della nostra fissazione innaturale e pericolosa per la prima.

 

All’inizio conosciamo solo l’“essere amati”, tanto che ci sembra – a torto – la norma. Il bambino crede che i genitori siano spontaneamente a disposizione per confortare, guidare, divertire, nutrire, riordinare, senza mai perdere la loro affettuosa allegria.

 

Ci portiamo questa idea dell’amore nell’età adulta. Cresciuti, speriamo di ricreare la sensazione di quando eravamo accuditi e assecondati. In un angolo segreto della nostra mente, immaginiamo un amante che anticipi i nostri bisogni, ci legga nel cuore, agisca in maniera disinteressata e renda tutto migliore. Sembra “romantico”, invece è l’inizio della fine.

Se pensi alla lettura come a uno dei più potenti strumenti di crescita e miglioramento personale, sei dei nostri.

Infatti, non c’è migliore nutrimento per la mente per la nostra mente quando vogliamo accrescere la consapevolezza di noi stessi e di ciò che ci circonda: persone ed emozioni, cose e luoghi reali e virtuali.

Quando vuoi curiosare tra i post in cui propongo ai lettori del blog altre letture, clicca sui link che trovi qui sotto.

Scoprirai libri che mi hanno ispirato e dai quali ho “rubato” un’idea, una storia, un metodo e che hanno segnato e continuano a segnare il mio percorso di crescita e trasformazione personale e professionale.

Sono certo che saranno di ispirazione anche per te.

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Un abbraccio,

Lucian

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