Filosofia e crescita personale: 10 lezioni per il successo
Filosofia e crescita personale: dieci imperdibili lezioni per raggiungere il successo nella vita.
A settembre 2007, partivo per Parigi con un progetto di tirocinio finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento. Per quattro mesi ho vissuto e lavorato nella sede principale di uno dei più importanti tour operator francesi: Voyageurs du Monde.
È stato un periodo di intensa crescita e trasformazione personale e professionale, grazie al nuovo contesto e alle tante persone dai quattro angoli del mondo che ho incontrato.
Grazie alle emozioni che ho sperimentato e al saper fare che ho imparato.
Conosci te stesso.
Socrate
Il quattro mesi a Parigi rappresentano una delle più notevoli esperienze di crescita e trasformazione della mia vita.
Una rivista prestigiosa
Perché te ne parlo?
Perché quell’autunno scoprii la prestigiosa rivista SciencesHumaines.com. Da allora, l’ho sempre seguita online, dall’Italia, e offline, le volte che a Parigi sono tornato.
È una rivista che riesce a soddisfare anche i più esigenti lettori interessati alla scoperta delle scienze umane. Numerosi gli argomenti esplorati e gli articoli pubblicati: psicologia, antropologia, storia, filosofia e molto altro.
Ci sono anche una montagna di libri e dossier, in lingua francese, su temi attuali e stimolanti.
Naturalmente, ci sono tanti articoli sulla retorica, sulla comunicazione, sulla crescita e sulla trasformazione personale e professionale. Alcuni for free, alcuni altri a pagamento.
Se il francese ti appassiona e non conoscevi questo sito, ti suggerisco di darci un’occhiata. Scoprirai un oceano di informazioni di elevata qualità.
ll primo articolo tradotto
In occasione dei dieci anni trascorsi dalla mia esperienza parigina, ho scelto di proporti un articolo di Jean-François Dortier, fondatore della rivista Sciences Humaines e autore del blog La Quatrième Question.
Ho personalmente curato la traduzione, tralasciando alcune parti che mi sembravano superflue per il lettore italiano.
Inoltre, per guadagnare in scorrevolezza, ho operato alcuni adattamenti che ritenevo fossero più idonei alla lettura in lingua italiana.
Sei pronto per leggere il primo articolo tradotto dal francese all’italiano?
Iniziamo 🙂
Perle di saggezza
Diventa ciò che sei, Vivi il presente, Conosci te stesso, Accetta ciò che non puoi cambiare e cambia ciò che puoi cambiare: le perle di saggezza impartite dai filosofi dell’antichità o dai manuali di crescita personale riassumono un ristretto numero di principi, sempre gli stessi, concepiti per migliorare l’esistenza.
Non si tratta di un modello unico di esistenza, sono invece insegnamenti che possono parlare a tutti e ciascuno può far suo quello più adatto.
È una delle ragioni del loro successo universale.
Di seguito ce ne sono 10, di antiche perle di saggezza. A ciascuno, la sua.
3 buoni motivi per vivere (più qualcun altro)
C’è chi alla domanda Che cosa vuol dire per te l’arte del vivere? risponde di non credere nella felicità.
L’unico desiderio di chi sta male nella propria pelle è di non prolungare l’angoscia e la permanente insoddisfazione che gli ha rovinato la vita.
Poi c’è chi risponde che la felicità è trovare un lavoro soddisfacente, guadagnare un buon stipendio e poi partire per vivere all’estero.
E c’è chi dopo un burrascoso inizio di vita vorrebbe cambiarla: trovare un lavoro, mettere su famiglia, guadagnare il rispetto degli altri e per sé stesso. Diventare una persona per bene.
E, infine, c’è chi risponde in tutta onesta che non sa che cosa vuol dire l’arte del vivere e che, superati i 50, “les jeux sont faits”, i giochi sono fatti: una famiglia da nutrire, un lavoro da portare avanti, nonostante tutto, e, infine, l’agognata pensione.
Ognuno ha la propria visione su ciò che l’arte del vivere voglia dire.
Per qualcuno è la ricerca della Felicità, con la F maiuscola, (come per chi è alla ricerca del Grande Amore); per qualcun altro è la ricerca della tranquillità, lasciandosi alle spalle le sofferenze del passato.
Per qualcun altro ancora vivere significa realizzare qualche cosa, che significhi riuscita sociale o familiare, la realizzazione di un grande progetto o coltivare una propria passione.
In tutti i casi, bisogna dilettarsi con la propria vita. Insomma, l’arte del vivere è forse semplicemente vivere una buona vita, vale a dire una vita rispettabile.
Ecco, quindi, tre visioni di vita: essere felice, realizzarsi e vivere una vita dignitosa.
Possiamo certamente aggiungere: lottare per un ideale, curare il prossimo e, infine, mescolare un po’ il tutto in un cocktail esistenziale con poche garanzie.
Che, in fin dei conti, è quello che stiamo facendo.
La felicità non esiste, è solo un cartellone con più frecce che indicano più direzioni.
La saggezza ha una lunga storia
La saggezza ha una lunga storia, ma è sempre la stessa.
L’arte del vivere si definisce dunque non solo attraverso i suoi obiettivi, ma anche attraverso i suoi mezzi. E racchiude un principio fondamentale: vivere, si impara.
Così come esiste un’arte del combattimento, un’arte culinaria, un’arte della caccia o l’arte del giardinaggio esiste anche un’arte del vivere.
Possiamo imparare a vivere e ciò significa: apprendimento, allenamento, esperienza, disciplina e lezioni di vita.
In Grecia, il filosofo si definiva un amico della saggezza (l’etimologia della parola parla da sé: philo – amico, e sophia – saggezza). Che cosa vuol dire?
La ricerca della verità per mezzo della ragione, secondo i pensatori dell’antichità come Pitagora, Socrate, Platone o Aristotele. I filosofi del mondo antico erano, pertanto, maestri della verità.
Pierre Hadot ha, però, un’idea diversa.
Per lui la filosofia antica era soprattutto un’arte del vivere diversamente. Certo, il filosofo mirava alla conoscenza della natura umana, ma era soprattutto qualcuno che aspirava a condurre una buona vita.
La buona vita racchiudeva in sé non solo lo studio, ma soprattutto una certa etica che supponeva disciplina e padronanza dei propri pensieri e delle proprie passioni: un governo del sé, con le parole di Michel Foucault.
Il filosofo antico era, come sottolinea lo storico Paul Veyne, una sorta di santo laico. Portava la barba per distinguersi dalla gente comune e impartiva i propri insegnamenti a chi voleva ascoltarlo.
Il saggio doveva adottare un modello di vita che poteva servire da esempio a tutti. Così erano o aspiravano ad esserlo Socrate, Platone, Seneca, Epicureo e gli altri filosofi dell’antichità.
Più o meno nello stesso periodo e a migliaia di chilometri di distanza si verificava un fenomeno simile. Nel V secolo a.C., quando la filosofia greca era in fiore, in Asia appariva un nuovo tipo di uomo: il saggio.
Confucio, Lao Tzu e Buddha sono le tre figure di spicco che hanno fondato le tre principali religioni asiatiche: il confucianesimo, il taoismo, il buddhismo.
Lo Junzi o l’uomo virtuoso confuciano ha dei tratti simili al saggio stoico. Come modello di vita il taoismo si avvicina all’epicureismo, l’antica scuola filosofica fondata da Epicuro nel IV sec. a.C.
Il saggio si fa guidare dalla sua coscienza interiore più che dalle sue passioni o dalle convenzioni sociali.
Ci sono dei tratti che accomunano questi pensatori e la loro saggezza: l’affermazione di un’etica interiore correlata a una disciplina di vita e una ricerca spirituale.
Forgiarsi una cittadella interiore secondo la bella espressione dello stesso Hadot.
Morale: l’arte del vivere si coltiva. Esattamente come i pomodori.
Vita attiva o vita contemplativa
Vita attiva o vita contemplativa? Beh, non bisogna scegliere.
Hannah Arendt, nella sua Vita activa. La condizione umana distingue due generi di vita: la vita attiva e la vita contemplativa. Sono i due orientamenti dell’esistenza.
La vita contemplativa corrisponde a una ricerca della felicità basata sulla rinuncia alla ricchezza o al successo. Per la vita contemplativa, il vero senso dell’esistenza è approfittare appieno dell’istante presente. Ciò implica anche alcune rinunce.
Il buddhismo con le sue Quattro Nobili Verità offre una visione estrema: la vita è sofferenza e la sofferenza proviene dal desiderio. Sopprimere il desiderio significa smettere di soffrire.
In breve: bisogna rinunciare a vivere per non rovinarsi.
La vita attiva è un modello di esistenza diametralmente opposto che accetta il desiderio e incoraggia l’azione. Secondo questo modello di vita, lo scopo dell’esistenza non è la contemplazione passiva.
Vivere è azione e realizzazione.
Esiste una forza vitale in noi che ci spinge ad agire, a realizzarsi e a creare delle cose. Da questo punto di vista tutte le imprese umanamente possibili sono allo stesso tempo sofferenza e piacere.
L’arte del vivere è dunque un manuale di combattimento. Il miglior rappresentante di questa filosofia di esistenza combattiva e guerriera? Friedrich Nietzsche.
Il male è nel bene
Il male è nel bene e viceversa.
Vita contemplativa o vita attiva? Filosofia dell’ozio o dell’azione?
Meglio restarci a metà strada.
Buddha, dopo aver abbandonato la vita di palazzo, aveva cercato salvezza nell’ascetismo più severo: rifiuto totale del piacere e l’abbandono totale del sé.
Alla fine, ha optato per la via di mezzo.
Allo stesso modo, Aristotele nella sua Etica Nicomachea incoraggia il giusto mezzo: passione moderata e azione riflettuta.
Vita attiva e vita passiva, azione e contemplazione è ciò che in fin dei conti ritma la nostra esistenza; alle attività del giorno segue il riposo notturno, ogni settimana termina con un weekend, il lavoro e il tempo libero si alternano.
I filosofi dell’arte del vivere fondata sul vivere l’instante presente riscuotono successo perché hanno intercettato un’aspirazione della nostra epoca. In una vita scandita dalle più diverse corse, al diploma, al lavoro, all’iperconsumo d’immagini e d’informazione, desideriamo più che mai staccare la spina.
Il giardino di Epicuro ha oggi la forma di un mito: una camera in un agriturismo o una gita rurale, là dove si mescola la natura non troppo selvaggia, pasti luculliani, del buon vino (perché oggi la filosofia rima con enologia) e i veri amici.
Ma le vacanze non possono durare in eterno. Rinunciare del tutto ai grandi progetti, ritirarsi dalla vita sociale, rifiutare di esistere per non prendere alcun rischio? Non se ne parla neanche!
La vita contemplativa ha i suoi limiti: l’inattività a lungo andare è terribilmente noiosa, distruttrice e senza alcun fascino.
Il vero gusto del riposo non si apprezza se non dopo un periodo di intensa attività.
Ecco perché gli antichi manuali dell’arte del vivere e i manuali di crescita personale contemporanei invitano a vivere appieno il presente e, allo stesso modo, migliorare il governo del sé.
Sull’arte del far niente
Nella sua versione zen, l’arte del vivere si riassume nella cerimonia del tè.
Secondo il suo grande maestro Sen no Rikyû, consiste nel far bollire l’acqua, preparare il tè e berlo.
Tutto qui?
Sì, e vuol dire:
- che bisogna concentrarsi sulle cose semplici – è il miglior metodo di fare spazio dentro di sé
- per essere efficace, bisogna fare solo una cosa alla volta
Tra le antiche tecniche mentali, occidentali e orientali, e i metodi contemporanei dell’arte del vivere Cogli l’attimo è la più universale.
Si declina in molteplici forme che consistono tutte nella liberazione dai pensieri che ci tormentano: angosce,ruminazioni, progetti, ricordi, inutili speculazioni ansiogene.
Per potersi concentrare sul presente, è necessario ripensare le due cose: la paura del futuro e il ricordo dei mali del passato.
Questi non mi riguardano più e il futuro non mi riguarda ancora, scriveva Seneca nelle sue Lettere a Lucilio.
Dimenticare il passato e i suoi rimpianti e sottrarsi alle angosce del futuro per concentrarsi sul presente: ecco la ricetta del benessere.
Ma il carpe diem può intendersi anche di un’altra maniera, meno contemplativa. Cogli il giorno può anche volere significare non perdere tempo, non rimandare il tutto a domani.
Ogni giorno è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. La vita intera è fatta di un susseguirsi di giorni che offrono un orizzonte di possibilità.
In breve, non procrastinare troppo rimandando il tutto al dopo.
Vivere il presente, dunque.
Tutto questo va benissimo, ma davvero funziona?
Questo non mi aiuta più se devo preparare un esame, pianificare una partenza o preparare la cena.
Vivere umanamente la propria vita significa progettare il futuro anticipandolo.
L’arte del buon vivere è un’arte dell’ozio. Ma è necessario pensare anche all’altro aspetto dell’esistenza umana: l’azione.
Conosci te stesso
Conosci te stesso, ma sii indulgente.
Il principio socratico Conosci te stesso scolpito sul frontone dell’ingresso nel Tempio di Apollo a Delfi si ritrova ancora oggi nella maggior parte delle psicoterapie, dalla psicanalisi alle terapie cognitivo-comportamentali.
Che la chiamiamo introspezione, analisi interiore o riflessione questo ritorno su di sé mira a mettere in luce le rappresentazioni implicite, le nostre reazioni quotidiane, le motivazioni, le emozioni e i nostri modelli di pensiero ricorrenti.
I buddhisti come i pensatori greci avevano già fatto questa scoperta fondamentale: la soggettività. Le mie paure, le mie ire, le mie speranze si nutrono di rappresentazioni fantasmatiche.
È necessario dunque imparare a distinguere gli oggetti dalle loro rappresentazioni, le situazioni reali e il modo in cui le percepiamo.
I saggi dell’Antichità erano già costruttivisti a quell’epoca.
Diventa ciò che sei
Diventa ciò che sei: la formula più volte citata da Nietzsche (presa però da Pindaro, poeta greco del V secolo a.C.) è misteriosa.
Come possiamo diventare ciò che siamo già?
Infatti, l’idea è che possediamo tutti delle risorse e delle predisposizioni particolari chi richiedono di essere svelate. Ma come?
La risposta ce la dà il filosofo stoico Epitteto.
Uno dei suoi discepoli gli domandò: Come possiamo sapere quali sono le nostre capacità?
Epitteto disse: Come il toro, quando si avvicina il leone, conosce il coraggio e la forza che ha dentro di sé.
Il punto è che nella prova si rivela la persona.
Inutile dunque scrutare le profondità dell’anima per scoprire ciò che dobbiamo fare. È nella pratica che si rivelano forza e debolezze.
E non è tutto. Non basta avere dei doni (pardon, predisposizioni e gusti) per certe attività, è necessario anche coltivarle.
Epitteto aggiunge: Non diventiamo all’improvviso un toro o un nobile, ciò richiede esercizio, preparazione.
E non lanciarsi alla cieca nelle imprese che non sono a nostra portata.
André Gide lo diceva a modo suo: Bisogna seguire la propria discesa, ma salendo.
Non contare solo sulla tua forza di volontà
La filosofia dell’arte del vivere come le tecniche di crescita personale si fondano sul principio della trasformazione interiore.
È necessario modificare i pensieri per modificare il comportamento. Questo cambiamento mentale e l’atto filosofico per eccellenza.
Si edifica sulla conoscenza di sé preparatoria alla padronanza del sé.
Ma la volontà è fragile e contare solo su di essa per cambiare si è dimostrato notoriamente insufficiente. Coloro che annunciano nuovi propositi ogni primo gennaio dell’anno, e ce ne sono tanti, lo sanno bene.
La volontà finisce sempre per scontrarsi con altre priorità più o meno immediate, con distrazioni, abitudini difficili da cambiare e mille altri assalti della quotidianità.
Dai propositi mancati, una lezione essenziale: per cambiare, è necessario trasformare il suo ambiente.
Agendo sull’ambiente circostante, agiamo su noi stessi. È quello che fanno spontaneamente certi adolescenti che si rendono conto di non poter resistere a certe tentazioni (giochi video, amici, TV ecc.) e chiedono di andare in convitto.
Ed è quello che ha fatto astutamente Ulisse: sapendo di non poter resistere al seducente canto delle sirene, ha deciso di farsi legare all’albero della nave.
Il cambiamento personale passa per il cambiamento della propria quotidianità.
L’abbiamo tutti sperimentato: è sufficiente uscire dal suo ambiente abituale perché le nostre idee cambino.
I viaggi non hanno rivali nel cambiare le idee.
Il supporto sociale – amici, incontri, club, associazioni, istituzioni – hanno ugualmente un ruolo decisivo nei nostri comportamenti: buoni o cattivi, contribuiscono a farci uscire da una situazione. O a ricascarci.
Gli esperti di crescita personale insistono sul ruolo che le influenze dall’esterno hanno nella trasformazione del sé.
Le grandi religioni non si sono sbagliate. Cercando di incitare i loro seguaci a comportarsi da buoni discepoli hanno messo a punto un intero arsenale di tecniche di autocontrollo: rituali quotidiani, immagini ricordo, oggetti (rosario, mulini di preghiera), organizzazioni comunitarie, slogan semplici, modelli di riferimento.
Il tutto nella forma di un kit esistenziale destinato a incoraggiare un modello di vita proprio del buon credente.
Ciò che dipende da me …
Epitteto invita a dividere ciò che dipende da me (e che posso cambiare) e ciò che non dipende da me (e che devo accettare).
Inutile, dunque, tormentarsi per delle cose sulle quali non abbiamo controllo: è necessario imparare ad accettarle e accoglierle serenamente.
Epitteto ci insegna che disponiamo anche di un certo margine di manovra: lui stesso nacque schiavo per poi ottenere la liberazione.
L’arte del vivere intesa come capacità di padronanza del sé, di controllo del proprio destino ha dunque radici antropologiche, storiche e psicologiche molto profondi: di fronte alle prove della vita, abbiamo escogitato delle tecniche mentali di sopravvivenza.
Alcune ci aiutano a sopportare le sofferenze e le frustrazioni, alcune altre di armarsi psicologicamente per affrontare le sfide.
In questo senso, l’arte del vivere e della crescita personale non sono invenzioni della modernità. Erano già presenti nell’antichità, in Grecia, in Cina, in India e in altre civiltà dell’epoca.
Ma queste tecniche sono indubbiamente incoraggiate nella nostra società. Che si tratti dello studio, del lavoro, della vita in coppia, ciascuno è invitato a fare le proprie scelte e a non sottomettersi a delle direttive imposte dall’alto.
La gestione della propria vita si basa sull’impegno personale. Da qui il bisogno di disciplinare la propria esistenza.
Lo sa bene lo studente lasciato a sé stesso, il salariato lasciato relativamente libero di gestire il suo tempo e i suoi metodi di lavoro, il disoccupato che cerca di reinserirsi, l’alcolizzato o il fumatore che spera di liberarsi dalla propria dipendenza.
La società del consumo e della comunicazione ci mitraglia con incessanti stimoli: consumare, informarsi, distrarsi.
E l’individuo, prigioniero dei propri desideri, cerca di distaccarsi per poter gestire meglio la propria esistenza. Da qui le somiglianze tra i messaggi della semplicità ricercata che hanno il vento in poppa e le perle dell’antica saggezza che invitano a moderare i desideri e di resistere alle vane passioni.
Ciò che dipende da me è dunque anche disfarsene di questi incessanti stimoli, distrazioni, sollecitazioni o ingiunzioni che ci trascinano in tutte le direzioni e ci impediscono di perseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati.
Se ce ne siamo prefissati …
Non aspettare che sia troppo tardi
Il tempo di apprendere a vivere, ed è già troppo tardi, disse Louis Aragon.
Questo è il paradosso dell’arte del vivere: ci vorrebbe così tanto tempo per apprendere a vivere che appena terminata la lezione, ci abbandonano le forze.
Un’altra idea deprimente è che impariamo a vivere a colpi di fallimenti.
Ciò che non ci uccide, ci rende più forti diceva Nietzsche.
Sciocchezze!
Certo, a forza di martellarsi le dita, l’apprendista impara meglio a tenere in mano il martello. Allo stesso modo, pensiamo di salvare più spesso i propri dati dopo aver scassato una o due volte il disco rigido.
Ma la grande maggioranza dei fallimenti non ci rende più forti: ci traumatizza, ci rende più fragili e più deboli.
C’è tuttavia un modo positivo di guardare le cose.
Boezio assegnava alla saggezza lo scopo di consolare, Epitteto la vedeva come un rimedio alle sofferenze. Infatti, che cosa ci si aspetta da un rimedio?
Non tanto che ci doni salute e giovinezza eterna, ma che ci guarisca dal male. O perlomeno che ci attenui i dolori.
Ebbene, va da sé che gli insegnamenti di filosofia non saprebbero offrirci la felicità universale, né garantirci il successo delle nostre azioni.
E poi sappiamo che bisogna adottare i rimedi con moderazione: tutto è veleno, nulla è veleno, tutto è questione di misura, diceva Ippocrate.
Tutti i rimedi hanno, infine, degli effetti secondari. Questo è vero anche per le lezioni di vita.
La filosofia può essere ugualmente concepita come un’arte del combattimento.
L’arte della caccia ci insegna a conoscere la preda, come braccarla, come piazzare le trappole, come sparare. Ma non garantisce mai che la caccia sarà buona.
L’arte del disegno ci insegna a fare dei paesaggi o dei ritratti, ma non ci dà né il talento né la voglia di disegnare.
L’arte del pugilato ci insegna a dare colpi, come schivarli e incassarli. Ci prepara al combattimento, ma non può prometterci sempre la vittoria.
Lo stesso è per l’arte del vivere: ci aiuta ad affrontare le prove della vita, ma non saprebbe garantirci l’esito.
Traduzione e adattamento: Lucian Berescu
Puoi trovare il testo in lingua originale qui.
Foto di copertina Joel Robinson – Exciting Works of Fiction; Scuola di Atene, dominio pubblico; le altre canva.com.
PS: Questo post è stato aggiornato e integrato a marzo 2023. È apparso per la prima volta il 17 settembre 2017 sul sito RhetoFan.com, online dal 2016 al 2023.